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giovedì 2 aprile 2015

Voglia di leggere

Siamo ad Aprile, l'inverno ce lo stiamo lasciando alle spalle e noi abbiamo nuove idee che vogliamo far crescere. Avevamo pensato di condividere con voi delle pagine scelte di "Meadows Mill" di Tamara Cej. Pensiamo che sia una buona occasione per conoscere da vicino un autore emergente di grande spessore e con una scrittura creative e coinvolgente come la nostra Tamara.

Non mi resta che augurarvi buona lettura, a presto.



 

 
IL TEMPORALE
 
 
 
 
Di solito non ho paura dei temporali. Anzi, solitamente mi fanno venire voglia di accoccolarmi sotto la mia copertina con un buon libro e una tazza di cioccolata calda. Tuttavia, il temporale che infuria stasera, con la sua pioggia violenta, il rombo del tuono che scuote i vetri e i fulmini che squarciano il buio, mi rende inquieta. Dirò di più, mi terrorizza. Scuote le fondamenta del mio inconscio, facendole tremare come una torta di gelatina. Il temporale di stanotte ha qualcosa di innaturale.
 
Feci un sogno. Vidi, ed ecco, su un alto colle stava una donna, pareva una zingara dai capelli corvini, le braccia sollevate verso il cielo che rispondeva rombante al suo richiamo, mentre i fulmini saettavano frettolosi verso il suolo alle sue spalle, richiamati dalle parole mai udite che mormorava con le labbra.
 
Quella mattina, un pallido sole rischiarò la mia stanza da letto quando sollevai la tapparella, pesante palpebra del mio sonno. Come ogni giorno, mi recai al bagno accanto alla mia camera e usai il water. Lavai le mani e il viso col sapone e mi asciugai. Mi spostai in cucina, di fronte alla mia stanza da letto attraversando l’atrio. Aprii la dispensa in basso e scelsi una merendina farcita alla crema di vaniglia e cioccolato dalla terrina dei dolci. Pigiai il tasto del telecomando e sintonizzai il televisore con schermo a cristalli liquidi sul canale digitale dei cartoni animati. Stavano dando la serie «Due Fantagenitori». Gustai la mia discreta colazione, buttai giù una pastiglia di venlafaxina, una di alprazolam e una di montelukast quindi le ingurgitai con abbondante acqua.
Dovetti rinunciare al comodo pigiama di cotone color pesca a fiori arancio e verdi in favore di un più adatto paio di jeans e un’anonima maglietta rosa a maniche lunghe del supermercato. Infilai le scarpe ai piedi e i documenti in una pochette sportiva in tessuto impermeabile. Indossai il giubbino nero imbottito col cappuccio ornato di pelo sintetico e partii alla volta della biblioteca.
Sfrecciai rapida nel modesto traffico della cittadina di quarantamila abitanti, Meadows Mill, per arrivare a destinazione il prima possibile. Il via vai delle auto mi terrorizza, sono tutti dei pazzi quando guidano, sparati come missili su rotaie. Non sai mai quando ti capiterà di ricevere un servizio completo di stiratura a freddo su asfalto.
 
IL COLLETTORE DI ANIME
 
 
 
Fogli sparsi di carta pergamena ingombravano il piano della scrivania color mogano. Le venature del legno ondeggiavano sulla superficie opaca.
Risate nasali dal tono marcatamente isterico riecheggiarono tra le mura di pietra. Tra i vari fogli scarabocchiati spiccava il diagramma di una macchina cilindrica simile a un enorme contenitore di cibo per criceti. Accanto al disegno del marchingegno, lo schizzo di un anello con una pietra ovale incastonata.
 
Sullo schermo tivù al plasma da cinquanta pollici scorrevano le immagini di una sfida a due di un gioco musicale per console. La ragazza si esibì in una mossa da chitarrista rock quando il gioco la dichiarò vincente.
Caitlin sedeva sul divano del soggiorno. Dove fino a un giorno prima si era divertita ai videogiochi con il suo amore. Gli occhi verdi s’inumidirono e diventarono lucidi. La ragazza tolse le lacrime passandosi le dita sulle palpebre chiuse. Non era il momento di cedere alla debolezza. Aveva una missione e l’avrebbe portata a termine il prima possibile. Guardò la cartina della città, completamente svolta sulla superficie del tavolino del soggiorno. Sollevò il suo pendolo, una pietra trasparente appesa a una catenella di metallo. Lo tenne sospeso sull’angolo in alto a sinistra della mappa e chiuse gli occhi. Concentrò i suoi pensieri visualizzando l’immagine dell’uomo del vicolo impressa nei suoi ricordi e attese. Non accadde nulla. Spostò il braccio verso il basso, su un altro quadrante. Percepì un lieve movimento poi nulla. Lo straniero era passato di lì tempo prima, ma ora non c’era più. La sua traccia energetica era troppo lieve. Proseguì allo stesso modo finché arrivò al lato opposto della cartina. Sopra un quadrato preciso della carta cittadina il pendolo prese a ruotare animatamente, descrivendo un cerchio nell’aria. Caitlin aprì gli occhi, un’espressione cupa sul viso. L’aveva trovato. Lo stronzo era lì.
 
Il vecchio indossava ancora lo stesso farfallino e le stesse bretelle, ma non era solo. Sul tavolino degli attrezzi sgombro era steso il corpo di un ragazzo dai capelli biondo scuro, la pelle cerea e un paio di occhialetti tondi dalla montatura sottile in metallo. Il vecchio, che insegnava matematica all’Università della città, lo aveva invitato a casa sua per una discussione sulla materia. Il pollo, un secchione primo della classe del primo anno, aveva accettato subito. Il professore aveva disciolto una dose letale di potassio nella bibita all’arancia che gli aveva offerto.
 
IL MOSTRO DENTRO
Quella sera mi sedetti sul mio letto, porta chiusa a chiave. Presi tra le mani lo specchietto rotondo che usavo per truccarmi di nascosto. Tolsi un velo di polvere con le dita. Chiusi gli occhi.
Va bene, pensai.
«Mi avete detto di chiamarvi quando voglio,» sussurrai. Mi sentivo tesa, allo stesso tempo incuriosita e atterrita dalla visione che avevo avuto nello specchio del bagno. Non mi passo nemmeno per l’anticamera del cervello che potesse essere stata un’allucinazione. Nel profondo avevo sempre pensato di essere stata adottata. Desideravo con tutta me stessa essere più di una misera mortale, un essere umano usato come uno straccio dai suoi simili.
Percepii il nodo allo stomaco che li liberava e un totale rilassamento si impadronì delle mie membra.
Aprii gli occhi. Gli occhi rossi erano là, dove li avevo visti quella mattina. Guardavo me stessa attraverso quegli occhi nuovi.
 
 
L’ARMATA DELL’APOCALISSE
 
 
 
 
Pigiavo i piedi sui pedali della mia mountain bike, spostando il peso da una gamba all’altra, sorpresa sopra il sellino nero. Il battito del mio cuore nel petto martellava fino ad annebbiarmi il pensiero. L’unica cosa che volevo era raggiungere il rifugio più vicino.
Il Viale delle Magnolie di quella che un tempo era la soleggiata cittadina di Meadows Mill si era trasformato in uno squallido e spettrale corridoio di paura. I copertoni delle ruote divoravano l’asfalto della pista ciclabile delimitata dalle strisce gialle, mentre zigzagavo tra i corpi ambulanti che procedevano lenti, tendendo le loro membra ossute verso di me.
Non sapevo che diavolo fossero quei mostri. Nessuno lo sapeva. La pelle bluastra aderiva alle ossa come se fossero stati tenuti in astinenza da cibo per lungo tempo. Creature umanoidi alte e allampanate, completamente prive di peluria. Non aveva neppure ciglia e sopracciglia, diceva chi li aveva osservati da lontano con il binocolo.
I loro visi presentavano lineamenti sottili, gli occhi due palle sgranate in una perenne espressione irata. L’iride era quasi bianca, così da sembrare che non l’avessero affatto. I denti gialli e le gengive arrossate sembravano il risultato di una scarsa igiene orale, a dir poco.
Il fatto strano consisteva nelle loro fattezze. Erano tutti uguali. Fossero stati morti viventi o zombie avrebbero conservato le caratteristiche fisiche della persona a cui era appartenuto il corpo quand’era in vita.
 
 

 

 



Tamara Cej



@lorenzo fantacuzzi

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