Ciao a tutti amici di Alef.
Oggi diamo il via a una nuova iniziativa.
È un’idea che mi è venuta questa note...
Allora, vorrei mettere a disposizione di tutti la pagina del blog di Alef
con un progetto di scrittura condivisa.
Funziona in questo modo, chi vuole partecipare deve solamente inviarmi il
suo contributo a questo indirizzo: manoscritti@edizionialef.it
andranno bene, racconti, articoli, poesie, storia, disegni, insomma di
tutto!
Per ora partiamo in questo modo, poi possiamo anche stabilire un argomento
mese per mese.
Il buon esempio lo do io con questo racconto:
Il fiume
Lavoravo
in una pizzeria, il profumo di forno a legna lo sentivo ancora addosso anche
dopo essermi lavato.
Yusuf.
Questo il mio nome. Aleppo la mia città. Città… Ho lasciato palazzi in fiamme.
Orrore e morte.
Sembra
una costante ma anche la mia fuga verso l’occidente è stata accompagnata da un
fiume.
Non
ne conosco il nome ma ho camminato lungo il suo argine fangoso per molti
giorni, attraversando i confini europei che mi separavano da Roma Si la città
in cui mi trovo adesso.
Strano,
sentirsi parte di un micro cosmo come quello di una citta quando sei stato per
lungo tempo immerso nell’area naturale di boschi e campagne.
Sono
arrivato da un paio di mesi, dopo aver attraversato il mediterraneo su un
gommone.
Sono
stato in un centro di accoglienza pe quasi sei mesi, poi sono scappato via.
Sempre
di notte e sempre verso una nuova meta.
A
Roma ci sono arrivato grazie alla Caritas di Bari. Mi hanno ospitato e trovato
un lavoro.
Sono
seduto lungo le sponde del Tevere.
Non
conoscevo la sua storia e non avevo mai visto un fiume così grande, prima di
questo.
Ieri
ho fatto delle foto e le ho mandate alla mia famiglia.
Abbiamo
creato un gruppo su whatapp. Siamo tutti in paesi diversi.
Rifugiati,
temporaneamente in luoghi distanti, sognando di tornare a casa.
Illusione.
La nostra casa, come le altre del quartiere vecchio di Aleppo, sono andate
distrutte.
Una
nuova casa in un altro paese?
Dio
è grande!
Le
notizie che parlano di noi rifugianti non sono confortanti. Aumentiamo sempre
di più e anche per noi questo diventa un problema.
Siamo
un popolo in fuga. Abbiamo titoli di studio, attività e sogni.
Vogliamo
vivere in un paese civile.
Sappiamo
benissimo di essere un problema.
Abbiamo
chiesto tante volte alla comunità internazionale di aiutare il nostro paese.
Siamo
diventati come questo fiume, scorriamo lenti verso nuovi delta.
Travolgiamo
i paesi che attraversiamo, portiamo, dibattito, integrazione e razzismo.
Siamo
la coscienza, l’inferno che nessuno vuole vedere.
Dall’altra
parte della sponda di questo fiume, vedo un uomo camminare da solo.
Mi
osserva.
Accenno
un saluto ma non ricevo niente in cambio.
Del
resto che cosa mi aspetto…
Rimango
seduto sull’argine ancora un po’.
Mi piace
questo posto, l’acqua che scorre incessantemente mi rilassa.
Silenzio.
Il
lento scorrere del fiume.
Il
traffico in lontananza.
Un
tonfo.
Il
velo d’acqua che si squarcia.
Mi
muovo veloce in direzione del rumore.
Non
sento nulla.
Solo
il battito del mio cuore, molto vicino alla testa,
Non
vedo nulla.
In
mezzo al corso d’acqua, quello più piccolo che scorre su un lato dell’isola
Tiberina, una sagoma, due mani che si stagliano verso il cielo, grida bagnate e
soffocate.
Mi
butto non ci penso su neppure un istante.
L’acqua
penetra i miei abiti, la corrente mi trascina in fondo, faccio resistenza.
Ci
sono quasi, non vedo bene è buio.
All’improvviso
una stretta, dannatamente forte, al fianco destro.
L’avevo
raggiunto, ora dovevo rimanere lucido e non farmi portare giù da quel corpo in
preda al panico.
La
stretta si faceva sempre più forte, una colonna d’acqua mi spingeva verso il
basso e un peso insopportabile mi schiacciava da un lato.
Fango,
sassi e alberi.
Cerco
di liberarmi, la morsa si allenta. Mi aggrappo ora io al corpo sconosciuto.
Non
si dimena, più.
Riesco
a puntare un piede su un tronco e con la gamba blocco il corpo inerme che ora
avevo tra le braccia.
Ormai
siamo in salvo. Ho la schiena che appoggia, stabile al tronco.
Nel
frattempo sono arrivati anche i vigili del fuoco che mi lanciano un salvagente.
Due
autoambulanze sono ferme sul ponte.
Una
giovane donna.
Il
corpo che avevo recuperato era di una ragazza.
Non
si era ripresa ancora, la vedevo distesa sull’argine mentre i sanitari le
prestavano soccorso.
Poi
di corsa verso l’ambulanza.
Fanno
salire anche me.
Mi
fano i complimenti e un applauso si leva dal ponte.
Non
alzo lo sguardo.
Sento
ancora la forza di quella presa e la leggerezza contrastante del corpo che ho
riportato verso la riva.
Sembravano
due entità diverse.
Mi
siedo sul lettino dell’ambulanza, con i miei pensieri agitati come le acque di
questo fiume.
Non
mi ricordavo di aver visto una ragazza passeggiare sulla sponda opposta…
Forse
stava lì da prima e meditava di finire i suoi giorni gettandosi nel Tevere.
Cerco
qualcosa per soffiarmi il naso.
Cerco
nella tasca dei pantaloni, ancora bagnati.
Infilo
la mano e trovo qualcosa di appallottolato.
È
una pallina di carta avvolta nella pellicola da cucina.
Non
è mia, assolutamente.
Tolgo
delicatamente il primo strato di film trasparente.
Distendo
i fogli di carta.
Il
cuore si ferma, all’improvviso.
Una
poesia Persiana.
Da
“Shahnameh - il libro dei re”
La
prima luce grigia del mattino riempiva l’oriente
E la
nebbia si alzava dalle acque dell’Oxus
Ma
tutto l’accampamento dei Tartari lungo il fiume
Era
senza vita e ancora gli uomini erano immersi nel sonno.
Sohrab,
lui non ha dormito per tutta la notte,
da
solo è rimasto insonne a rigirarsi sul letto,
ma
quando la grigia alba entrò furtiva nella sua tenda egli si alzò,
si
vestì, afferrò la sua spada prese il mantello da cavaliere e lasciò la tenda,
uscì
nella fredda e umida nebbia,
attraversò
il campo nella semioscurità verso la tenda di Peran-Wisa
Ferdowsi
(940 – 1020 A.D.)
Appartengo
a questo fiume. Se ne uscirò viva, il nostro destino sarà unito.
Fariba
@lorenzofantacuzzi