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venerdì 26 giugno 2015

Il Pesciolino nero

“Mi hanno ridotto lo stipendio di 240 Touman (una forte penalità remunerativa per l’epoca) e mi hanno trasferito da Azarshahr a Gowgan (da una cittadina a una piccola frazione rurale); perché avevo fatto un intervento sul da farsi scolastico, ridicola burocrazia. Una volta a Gowgan, ho cominciato subito a lavorare. A insegnare. Proprio come un caparbio bue. Molti si sono meravigliati di tanta perseveranza nonostante tale ingiustizia esercitata nei miei confronti. Questi non riuscivano a guardare oltre la punta del proprio naso, nemmeno un passo più avanti. Mi sono da subito adattato all’ambiente di Gowgan e ho lavorato senza farci caso … Cerca di non prendertela! Ma non che ti fai nullafacente e non lavori più. Ecco! L’obiettivo è “partire” e non “arrivare”. La vita è una matassa troppo imbrogliata. Non porta da nessuna parte. Ma noi non dobbiamo fermarci, seppur consapevoli di non arrivare a niente: non bisogna fermarsi e quando ci sarà da morire, moriamo. Al diavolo, chi se ne frega!"
 
Non credo che ci sia un modo migliore o più veritiero per presentare Samad Behranghi, se non le sue stesse parole.
Coraggio, dedizione, cultura, tattica, consapevolezza, sono solo alcune prerogative della Lotta e Samad le aveva tutte, abbondanti. La morte è una costante nelle sue riflessioni e nei suoi racconti. Una sorta di profezia, di presagio del proprio destino.
Una delle più rinomate riflessioni di Samad, che ancora oggi è saldamente radicata nelle menti di tutte le generazioni successive degli iraniani, e non solo, è senza dubbio il pensiero fatto dal “piccolo pesciolino nero” pochi istanti prima di affrontare le peripezie più insostenibili di una vita colma di energia, di ambizioni, di coraggio. Direi il messaggio definitivo di un intellettuale inquieto e implacabile venuto dalle viscere di una società inclemente e tradizionalista e pertanto fortemente conservatrice, appunto quella iraniana degli anni cinquanta e sessanta:
“La morte potrebbe incombere su di me in ogni momento, anche adesso, ma io non debbo cercarla e debbo vivere più che posso. E se un giorno dovessi inesorabilmente affrontarla, poco importa, l’affronterò; importante è però l’effetto che la mia vita o la mia morte ha sulla vita degli altri.”
Nato nel 1939, in una famiglia disagiata nei vecchi quartieri poveri di Tabriz, nel settentrione occidentale dell’Iran, è uno dei sei figli di un padre che a malapena riesce a fornire una vita minima attraverso umili lavori e, per arrotondare, vende acqua potabile ai russi e agli ottomani alla stazione ferroviaria, con un grande otre sulle spalle. Un padre che poi emigrerà verso le terre caucasiche dell’ex Unione Sovietica, come si usava fare allora per sfuggire dalle ristrettezze, e non torna più. Ma restò vivido il suo consiglio nelle orecchie dei figli: “Studiate, studiate, per non avere una fine come la mia.” Samad impara la povertà fin dalla nascita e assapora il suo gusto acre. Superata la scuola elementare si trova costretto a lavorare, del resto, cosi era per tutti i bambini suoi compagni. Tuttavia non abbandona gli studi e riesce a diplomarsi frequentando scuole serali. Nel 1957, a soli diciotto anni, conclude il corso biennale e serale all’accademia di pedagogia e diventa insegnante. Nello stesso anno, si scrive alla facoltà di letteratura inglese, all’università di Tabriz, dove si laureerà nel 1962, senza mai smettere di lavorare.
Muore nell’agosto del 1968 all’età di ventinove anni, annegato nel fiume Aras, confine tra l’Iran e la repubblica di Azerbayejan. Il suo cadavere sarà rinvenuto dopo alcuni giorni e la causa ufficiale del decesso fu “annegamento per l’incapacità a nuotare”. Circostanza che ancora oggi rimane non risolta. Infatti nel credo popolare continua a vivere vigorosamente l’idea della sua uccisione per mano della polizia segreta dello Shah, perché personaggio scomodo per il regime. Il ché si avvalorerebbe del fatto che Samad simpatizzava per il pensiero comunista e lo Shah è stato atrocemente riluttante ai personaggi di sinistra.
Nella breve vita di Samad, attitudini intellettuali e doti combattive si manifestano ben presto. Le sue attività spaziano dalla ricerca alle traduzioni, dal folklore allo scrivere, dall’insegnamento alla lotta. Sceglie appositamente i bambini come interlocutori, ma si rivolge soprattutto agli adulti, proprio come indica il proverbio persiano: “Rivolgo la parola alla porta perché la senta il muro”. L’amore per i bambini è scaturito dalla convinzione che una società progredisce solo se le nuove generazioni diventano consapevoli. Ecco che comincia da loro, quelli più poveri, quelli che come lui bambino assaporano il gusto acre della povertà. Ecco che si reca nelle zone rurali dove tutto è più arduo, abbandonando e ripudiando la città. Interagisce con la popolazione, maggior parte analfabeta ma genuina, insegnando e poi distribuisce libri tra la gente gratuitamente per farli amare, per discuterne, per coinvolgere piccoli e grandi.
Samad Behranghi è un azero. Dopo i persiani, l’etnia azera è la seconda per popolazione di molte che vivono in Iran. La lingua azera condivide molto con quella parlata in Turchia, ma non è uguale. Samad impara anche il turco. I suoi studi sulla lingua azera lo rendono in grado di scrivere molte nuove regole grammaticali. Lavora sulla traduzione di molti poeti dal persiano in azero e viceversa.
Nel 1963 pubblica il suo primo lavoro; “Talkhoon”, (dieci racconti per bambini), e una raccolta di poesie turche, (traduzione in persiano).
Gli anni a venire saranno fecondi di suoi lavori in libri, articoli, saggi; tra cui:
 
Osservazione sulle questioni educative in Iran; (saggio, 1965)
Racconti azeri; (traduzione persiana, 1965)

Folklore e poesia
L’alfabeto persiano per bambini azeri e tante altre pubblicazioni.
Ma le fiabe rimangono la sua passione che ne pubblica diversi ogni anno, tra cui:
Uldoz e i corvi;

Uldoz e la bambola parlante;

Il venditore bambino di barbabietole;

La vecchia e il suo pulcino d’oro;

Una pesca, mille pesche;
Ventiquattro ore in dormiveglia;
e altre ancora. Queste ultime tre fiabe sono state pubblicate dopo la sua morte, nel 1969.
 
 
“Il piccolo pesciolino nero”, è il lavoro più conosciuto di Samad e forse anche il suo capolavoro.
Si può dire che in questo libro Samad Behranghi raccoglie, evidenzia, contesta, molte barriere che produce la convivenza sociale e ne traccia una via d’uscita: la lotta quotidiana, a cominciare dai bambini.
Un argomento cosi caro a lui che per controversie con la burocrazia, in particolare con quella dell’istruzione, finisce anche in tribunale, ma poi assolto.
“Il piccolo pesciolino nero” viene pubblicato nel 1968, giusto un mese prima che Samad Behranghi perdesse la vita.
 
 
 
Conosciamo meglio il curatore di questo libro: Jamshid Shahpouri
 
Sono nato in Iran nel 1959, ho studiato alla scuola superiore fisica e matematica, ho frequentato corsi di specializzazione in inglese e nel 1979 mi sono trasferito in Italia.
La prima cosa che ho fatto e studiare l’italiano, poi mi sono iscritto all’Università di Catania per studiare ingegneria, successivamente architettura a Venezia.
Sono sposato, mia moglie è italiana e ho due figli.
Nonostante i miei studi scientifici amo scrivere poesie, testi per canzoni e racconti, sia in persiano che italiano.
Mi occupo di fotografia, traduzioni e collaboro con siti internet che si occupano di Iran.



@LorenzoFantacuzzi



domenica 14 giugno 2015

Per gli appassionati di gialli e di vicende spirituali, questo mese la libreria di Alef vi propone due nuove pubblicazioni del nostro autore Vincenzo Turba.

L'albergo grigio e Spiriti ed anime vaganti nell'universo.

Conosciamo meglio le due opere:

Tre esseri di puro spirito, provenienti da una lontanissima galassia, riescono a raggiungere, con i raggi del loro pensiero, il nostro mondo.
Invisibili, entrano in alcune case, redendosi conto del modo di pensare di chi le abita. Si sorprendono ed esprimono i loro pareri. Visitano pure, scoprendo la verità di quello che si predica, il Palazzo del Governo e il sacro Tempio.
Riescono pure ad intessere un colloquio con Gesù che li convince di unirsi all’Angelo Simone per raggiungere la conoscenza di Dio. Gli spiriti riconoscono solo la suprema Armonia quale guida dell’Universo e ne nasce quindi un’animata, ma costruttiva dialettica con l’Angelo.
Le due parti si rispettano reciprocamente e giungono ad una conclusione che li soddisfa entrambi.
Il viaggio con l’apostolo è pieno di imprevisti e di visite ad altri astri e viene persino ravvivato dall’osservazione di un gruppo di astronauti, che con il loro disco, atterrano sulla terra, causando una certa inquietudine.
Il viaggio degli spiriti termina con la sparizione della loro vista del nostro mondo che potrebbe essere attribuita alla disastrosa china in cui sarebbe precipitato a causa di mancanza di saggezza nel suo operare.
 
In una città della Francia , tra i numerosi Palazzi ricostruiti a seguito delle distruzioni causate dalle guerre che avevano imperversato nei primi decenni del 1800, esisteva un vecchio fabbricato in cattive condizioni, adibito in precedenza ad Albergo: L’Albergo Grigio.
L’opinione pubblica sospettava che nei sotterranei dell’Albergo si trovassero le prove dei misfatti compiuti dal Casato dei Chevalier, responsabili pure dell’aggressione ai componenti del Casato avversario,quello degli Argonnes. 
La giovane Adeline Argonnes, figlia  del reggente dell’Amministrazione, sospettava persino che nei sotterranei si trovassero le salme di quattro suoi congiunti, misteriosamente scomparsi dopo l’aggressione subita da parte dei Chevalier.
Accompagnata dal fidanzato,la giovane riuscì ad introdursi nell’Albergo e nella visita ai sotterranei scoperse tanti misteri e le salme degli antenati.  
La temeraria impresa,grazie al sacrificio della giovane, rese possibile smascherare la responsabilità dei Chevalier, che furono assicurati alla giustizia.
 
 
 
@Lorenzo Fantacuzzi